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PLACE MARCEL AYMÉ, MONTMARTRE

  • Immagine del redattore: Zanara
    Zanara
  • 11 feb
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 29 mar

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A Montmartre, al terzo piano del 75bis di rue d'Orchampt, c'era un uomo eccellente chiamato Dutilleul che possedeva il dono singolare di passare attraverso i muri senza grattacapi.


Marcel Aymé - L'Attraversamuri 



Venendo da via rue d'Orchampt, lasciandosi alla sinistra il Moulin de la Galette e i suoi ricordi di balli d’antan, pochi metri più avanti ci si trova a un incrocio alla cui destra apre una piccola piazza rettangolare. Su di un muro di cinta che fa da confine al giardino Frédéric-Dard Maquis d'Émerveille, vi si scopre una statua bizzarra che i parigini hanno dedicato all’altrettanto singolare scrittore Marcel Aymé.


L'attraversamuri e "l'inconfort intellectuel"


La statua de L'Attraversamuri dedicata allo scrittore.
La statua de L'Attraversamuri dedicata allo scrittore.

Tra i massimi esperti delle dinamiche dell'assurdo, Marcel Aymé (1902 - 1967)  ha attraversato lo scombussolato novecento letterario saldamente legato a una convinzione precisa: l’uomo è qualcosa di così profondamente contraddittorio che a guardarlo bene vengono le vertigini. Condensa questo suo pensiero in una produzione ventennale, frequentando il romanzo, il cinema, il teatro e la poesia fino a diventare, contro ogni sua renitenza a premi e riconoscimenti di sorta, anche maestro intergenerazionale capace di  abitare uno spazio di rilievo nel panorama della literature fantastique


Attraverso i suoi racconti Aymé ci offre i risultati di un’indagine umoristica e fantasiosa della società francese (si legga: del mondo), svelando con leggerezza le follie nascoste sotto il tappeto dell’anima umana senza perdere occasione, e mai cedendo alla seriosità, di avvicinarsi, a piccoli ma sicuri passi, a una speculazione filosofica tanto divertita quanto rigorosa. 


Non solo l'elemento fantastico, i cui presupposti sono comunque perseguiti con scrupolo attento alla verità interna del racconto, ma è soprattutto il miasma dell’identità che sorprende con le sue particolarità manifeste proprio in quelle pose in cui la società – che già negli anni ’30 e ’40 comincia a mostrare il suo volto più paradossale – viene colta in fallo. 


Il quotidiano stravolto della guerra offre lo spunto per acute ricognizioni nel paradossale. Il meccanismo dell’irrazionale prende forza a monte di una decisione perentoria di qualche potere costituito o metafisico – che sia lo Stato, la Famiglia, o una potenza superiore e inintelligibile –  per poi essere subito accettato dagli individui. Proprio come la guerra stessa: decisioni prese dall’alto, da vertici sideralmente lontani dalla gente, di cui non si conoscono neanche volti e nomi, ma le cui conseguenze gravano e stravolgono irrimediabilmente le vite di tutti.


Così, se la Nazione dichiara che da domani si esisterà in base al proprio livello di utilità (La carta del tempo), che si sposterà in avanti il tempo mondiale di diciannove anni (Il Decreto) o che improvvisamente si avrà dimezzata l’età (Ricaduta), ai poveri tipi aymeiani non resta che adattarsi. Sono personaggi, questi, che si agitano nella stretta rete dell’irrazionale, dove anche le leggi della fisica si imbizzarriscono e prendono vie traverse. Come piccoli Sisifo, artisti poveri in canna o piccoli borghesi, impiegatucoli e scalcagnati di ogni risma, cercano di ridarsi un ordine in un mondo in cui l’ordine è bello che detonato. Un mondo in cui, ad esempio, capita di svegliarsi una mattina e scoprire di poter attraversare muri (L’Attraversamuri) o di vivere un giorno su due (Il tempo morto), di sdoppiarsi (Le Sabine) e che le proprie creazioni sfamano chiunque le contempli (La buona pittura). 


Lo fanno per lo più a Montmartre, quartiere-città, quoi de brume, caleidoscopio di tipi umani, guazzabuglio multicolore in cui Aymé circoscrive le loro vite. Nuotando nella luce e nelle zone d’ombra del quartiere parigino, lo scrittore, nato nella contadina Joigny e poi trasferitosi a Parigi in cerca di una ribalta giornalistica, sembra aver raccolto il segreto della pennellata veloce tanto cara agli impressionisti che all’ombra del Sacro Cuore hanno speso vite e talenti.  


Moraliste fuori tempo massimo che all’incisività dell’aforisma preferisce il volo pindarico del racconto fantastico, l'indagine socio-psicologica dei suoi protagonisti è comunque riconsegnata al lettore tramite una serie di tratti minimali. Un gesto, una noia, una condizione cristallizzata raccontano un’esistenza. I tipi di Aymé si riconoscono sulla base delle loro idiosincrasie, degli atteggiamenti vezzosi, le civetterie, le affettazioni, le paure, i timori religiosi, le ipocrisie che non evitano di manifestare tra le righe e le cui circostanze esagerate concorrono semplicemente a far venir fuori. 



Marcel Aymé nel 1929.
Marcel Aymé nel 1929.

Al processo dell’osservazione ironica non sfugge neanche l’autore. Eccolo riversarsi sulla pagina, e per quanto l’arte del camuffamento sia efficace, riusciamo ancora a coglierlo di sorpresa dove alza più la testa (Martin il romanziere). Ma fuori dalla letteratura e nonostante l’ombra del collaborazionismo che spartisce con l’amico Céline,  Aymé sembra prendere le distanze dalle fedi politiche o metafisiche, lontano come un dio che tutto osserva e niente può, se non registrare il mai noioso, mai banale, mai scontato giro di vite di una società che, fondata su un principio di serietà, pare non voler perdere occasione di mostrare il suo volto più irrazionale e stupido.


Marcel Aymé con Louis-Ferdinand Céline a Grosrouvre (1955). Fonte: Vincent Lohier.
Marcel Aymé con Louis-Ferdinand Céline a Grosrouvre (1955). Fonte: Vincent Lohier.

Il racconto che ha offerto lo spunto per la statua, L’Attraversamuri, narra la tragicomica  vicenda di Dutilleul, un quarantatreenne impiegato di terzo livello del Ministero delle registrazioni fiscali. A inaugurare l’inspiegabile nella vita dell’uomo concorre un’interruzione elettrica a causa della quale Dutilleul si trova a vagare a mosca cieca per il suo appartamento di scapolo, fino a ritrovarsi, dopo aver avanzato a tentoni in quella tenebra improvvisa, nel pianerottolo condominiale. Scoprendo la porta dell’appartamento chiusa a chiave, si rende necessaria una controprova di quella supposta novità. Comprende dunque di aver guadagnato una facoltà d’eccezione, quella di passare attraverso i muri, che pur “non sembrava corrispondere ad alcuna delle sue aspirazioni”. La placidità della sua esistenza, infatti, non sembra essere sconvolta. Si rivolge a un dottore, il quale gli diagnostica “un indurimento elicoidale della parete strangolare del corpo tiroideo” e gli prescrive “sovraffaticamento intensivo e l'assunzione, in ragione di una dose due volte l'anno, di una pastiglia di polvere di piretta tetravalente mischiata con farina di riso e ormone di centauro”.

Dutilleul ingoia una delle pasticche e getta le altre pillole in un cassetto. Dopo aver messo a frutto il suo potere unicamente per mandare al manicomio l’odioso capo ufficio, si rende conto come “l'uomo dotato di un talento brillante non si accontenta di esercitarlo a lungo su un oggetto mediocre”. 

Fonte: Paris Secret
Fonte: Paris Secret
Passare attraverso i muri, d'altronde, non può essere una cosa fine a se stessa. È l'inizio di un'avventura che reclama una prosecuzione, uno sviluppo e, da ultimo, un riconoscimento. Dutilleul lo comprese molto bene. Sentiva dentro di sé un bisogno di espansione, un desiderio crescente di realizzarsi, superarsi, e una vaga nostalgia, una sorta di richiamo che proveniva da dietro i muri. Sfortunatamente, gli mancava uno scopo. 

Offre quindi  i suoi talenti al crimine, dove primeggia con il suo nuovo nome da ladro, Lupo Mannaro. Per rendere evidente questo suo bizzarro talento, si fa arrestare. Ma nessuna prigione può contenerlo. Sfugge alla polizia e si camuffa, dice addio alla sua tipica bombetta e al suo pince-nez, si dichiara pronto a superare i suoi stessi limiti, vagheggiando di attraversare pareti più impegnative, come quelle delle piramidi. Ma l’Egitto può attendere, poiché un’ultima sfida parigina lo accende, quella di poter amare una donna segregata in casa dal marito geloso. 

A seguito del primo riuscito amplesso lo sorprende un mal di testa, ritrova le pillole sparse nel cassetto e ne prende una, convinto di ingoiare un’aspirina. Torna dall’amata con cui si prodiga in un “intenso sovraffaticamento”, ma nel mentre della sua fuga dal letto altrui, lo sorprende una strana sensazione.


Quando se ne andò attraverso le pareti e le mura di casa Dutilleul sentì uno sfregamento anomalo alle anche e alle spalle, ma non ci fece caso più di tanto.
Fu solo attraversando il muro di cinta che ebbe la netta sensazione di una resistenza. Gli sembrava di muoversi in una materia ancora fluida, certo, ma sempre più pastosa, la cui consistenza aumentava a ogni suo nuovo sforzo. Una volta entrato per intero nello spessore delle mura si accorse di non essere più in grado di avanzare [...]
Dutilleul era come aggrumato all'interno del muro.

Fu Jean Marais, eroe del cinema francese e provetto scultore, a dedicare ad Aymé la statua ispirata a Dutilleul, rappresentato con le sembianze del suo autore. 

Qualora siate a Parigi, qualora siate a Montmartre, qualora, e non è difficile crederlo, vi troviate asfissiati dalle vetrine e dai rumori, l’imperativo è semplice: andare a passo sicuro in Place Marcel Aymé, dove troverete cristallizzata una metafora letteraria perfetta, l’immagine comica e straziante di un uomo sorpreso a metà nella sua straordinaria impresa di attraversare un solidissimo muro. 

Oggi è ancora lì, tutt'uno con la pietra. I nottambuli che scendono da rue Norvins, nell'ora in cui il brusio di Parigi si smorza, sentono una voce ovattata che pare venire dall'oltretomba e che scambiano per il lamento del vento tra gli incroci di Montmartre. È Lupo Mannaro Dutilleul che piange la fine della sua gloriosa carriera e il dispiacere degli amori troppo brevi. Certe notti d'inverno capita che il pittore Gen Paul prenda la chitarra e si avventuri nella solitudine sonora di rue Norvins per consolare con una canzone il povero prigioniero. Allora le note che si staccano dalle sue dita gelate penetrano nel cuore della pietra come gocce di chiaro di luna.
Foto copertina di Kevin Christopher Burke via flickr.
Foto copertina di Kevin Christopher Burke via flickr.




Bibliografia

In Italia sono stati i tipi de L’Orma a riproporne due raccolte capitali di racconti (Martin lo scrittore, 2016 e La fossa dei peccati, 2020).











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