Un uomo che ride in una città in rovina.
L’uomo è un uomo e in quanto tale ha un nome da uomo, Arthur Fleck. Ma ne ha anche un altro, a cui consegna il peso della frustrazione della sua personalità schizofrenica: Joker.
La città invece è Gotham City, invasa dai topi, strozzata dalla dilagante povertà e dallo sconcerto del privilegio. Tra le sue strade, Arthur vive la vita degli offesi.
Se vogliamo vederla bene, Arthur Fleck è un aspirante stand-up comedian. Se rovesciamo la maschera, Arthur Fleck è un fallito, con una malattia mentale invalidante, un passato di abusi e un presente di velleità e insoddisfazione.
Ha una condizione, uno sfogo con cui elabora ogni stress emotivo. Tutto si trasforma in una risata spastica, “uno di quei derelitti condannati all’eterno riso ma incapaci di sorridere“.
Arthur vive in un musical in cui solo lui sente la musica.
A uno spettacolo, siede tra il pubblico. Quando gli altri ridono, lui resta serio. Quando ride lui, nelle pause, nelle battute di collegamento, lui si sganascia: tra malattia e normalità c’è uno scarto incolmabile.
Da qui l’invenzione (o la scoperta) del Joker, un nuovo nome per una nuova identità in cui ci sta tutta una vita di rancore. Nome sberleffo che diventa maschera di paura.
L’amore negato, il sentimento offeso e il destino tragico cambiano di segno, si infiammano e impastando la cenere dei sogni di gloria con il cerone, Arthur compone il suo trucco da folle e grida il bisogno che la sua malattia sia un problema collettivo.
Il mito del Joker è ridefinito. La sua figura archetipica inossa sia l’umorismo macabro di Nicholson, il caotico anarchismo di Ledger e, da oggi, anche la schizofrenia ballerina di Phoenix.
Todd Phillips mette il trucco a Travis Bickle, cede tutti i prestigi del cinecomic supereroico (cgi, superpoteri, dicotomie manichee) e alla fine quasi ci si dimentica che questa nuova materia debba per forza ritornare sui binari del film d’origine, che ci sia in fondo al tunnel il piccolo Bruce che tenterà di rimettere le cose a posto. Il bene è completamente assente dal film principalmente perchè ancora deve elaborare il dolore, deve farsi forte del trauma e divenire emblema, alternativa.
Bruce deve ancora diventare Batman, rappresentante in terra di un bene superiore, chiamato a dimostrare le falle del sistema interpretativo di Arthur. O forse no, forse sarà solo un altro pazzo che convoglierà il suo personalissimo dolore in una maschera di paura.
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