
Tre anni dopo La danza de la realidad (2013), Alejandro Jodorowsky riprende i fili della sua autobiografia poetica, proseguendo il racconto della sua educazione giovanile nel Cile degli anni 50.
Non sorprende che questo secondo capitolo prenda le mosse laddove il precedente ci aveva congedato. Come per un gioco alchemico, la coda ritrova la testa e la partenza da Tocopilla che chiudeva La danza de la realidad adesso cambia di segno, mostrandoci un arrivo, quello a Santiago, dove la famiglia Jodorowsky si trasferisce.
Tra le tante cose che relega al vissuto, Jodorowsky continua a sostenere nel suo passato di ragazzo fragile il peso e l’amore della famiglia. La sua educazione poetica non può non interferire con le dinamiche familiari. La prima stazione di questa crescita transita necessariamente attraverso il superamento dell’autorità paterna, che lo vorrebbe aiutante nel suo negozio di vestiti, gestito con il pugno di ferro e con un particolare occhio ad alcune strategie di marketing estreme e dissacranti.
Se è vero, stando a Cocteau, che l’uccello canta meglio sul proprio albero genealogico, lo Jodorowsky ragazzo sente al contrario l’impulso di farlo a pezzi, tagliarlo alla base per permettersi di espandere la propria personalità ed emanciparsi dal giogo degli affetti. Ma d’altro canto, lo Jodorowsky autore chiama a raccolta la factory familiare al completo, i suoi figli Brontis e Adan a ricoprire i ruoli del padre e del giovane sé, in un amalgama metacinematografica, metagenalogica e, a benvolere, metafisica, in cui le anime e i ricordi si mescolano con i corpi e i figli diventano i padri.
La sua personalissima “danza della realtà” ci mostra il ritratto dello Jodorowsky da giovane attraverso gli incontri e scontri necessari, ovvero giocati su un filo di diamante che lega anime e destini. Come in una favola i personaggi cominciano a brillare nella costellazione del giovane poeta nel momento in cui il suo percorso ne richiama l’urgenza. L’incontro si svela come evento necessario chiamato a tessere la personalità di Jodorowsky stesso, spingendolo delicatamente verso il punto di arrivo, l’uomo e l’artista alle soglie dei novant’anni.

Il fatto avvenuto non esiste più, non ha valore e non si rimaterializza se non attraverso la lente distorcente della personalità di Jodorowsky, maestro nel crearsi un precedente e una predestinazione. Nel ricordo, Jodorowsky non è mai veramente solo testimone ma soprattutto artefice, protagonista, specchio che attira la luce delle vite degli altri.
Sfilano dunque nei suoi giorni cileni la parata di personalità che gravitano in quel microcosmo che è la scena artistica del Cile degli anni ‘50: polipittori, ballerini simbionti, tenori, danzatrici, tutta una sarabanda di freaks uniti dalla passione per l’espressione artistica. In questo calderone, i segni della futura arte del nostro sono già tutti chiamati in causa: il circo, i tarocchi, i nani capaci d’amore e i nani mostruosi, la pantomima, il Pierrot, la danza macabra, il potere da dissacrare dei tiranni e dei generali.
Due incontri su tutti segnano il film. Il primo quello con Stella Diaz Varìn, velenosa femme fatale nella doppia declinazione di amante pericolosa e donna del destino, capace di svelare al giovane poeta i primi passi del suo percorso prescritto, del suo futuro di artista, accompagnandolo per le notti etiliche e violente della città con la mano serrata sui suoi testicoli. Stella, la quale incarna un conflitto edipico di grossa grana (Pamela Flores interpreta sia la poetessa che la madre canterina del protagonista), riserva la penetrazione alla deità e permette al poeta tutto il resto.
Il secondo incontro è quello con Enrique Lhin, poeta anch’egli, che abita nella casa dei genitori sepolti dalla polvere della quotidianità e della Storia mentre la sua stanza tracima di parole incise dal soffitto al pavimento, struggenti quanto effimere.
Insieme porteranno scompiglio tra le aule dei poeti laureati, nelle accademie e nelle strade, fino ad un corteo in cui il precursore dell’happening sconvolgerà un Cile multicolore e disperato, capace di una tradizione che trasuda poesia da ogni cosa e di glorificare al tempo stesso il ritorno del dittatore sanguinario.

Se per i due giovani poeti la poesia deve essere atto, così il vecchio cineasta chiede al Cinema di divenire una cascata di immagini, che sovrapponendosi si scompongono in una nube che evapora nell’immaginario colorato dalla fotografia di Cristopher Doyle.
Jodo non sveste i panni del “visionario”, non sottopone la fantasia al sistema produttivo – il film è finanziato tramite Kickstarter – ma anche in termini di struttura narrativa, dato che il susseguirsi di trovate geniali e visivamente eccezionali spesso resta confinato all’interno delle singole sequenze. Conferma così il luogo comune critico che lo ha accompagnato sin dagli esordi, additandolo come geniale creatore di universi sgargianti e strabilianti quanto debole nel cucire insieme il tessuto magmatico della sua inventiva. Ma l’artificio del suo cinema, sbandierato ai quattro venti, riesce comunque a sbalordire e in certe scene a sostenere i brividi.
La riconciliazione con il padre, ad esempio, è una pretesa al mezzo e all’arte di pacificare la memoria e quello che è stato con la coscienza di quello che si è diventati. Un perdono da attuare in vita, un atto di cinema psicomagico e taumaturgo che si irradia a posteriori e serve a rischiarare un presente in cui la consapevolezza deve attraversare necessariamente le porte dell’accettazione di sé stessi e dei propri traumi. E il cinema può farlo, sostiene Jodorowsky.
Con le ceneri della propria casa alle spalle, di fronte a sé il giovane Alejandro scruta infine i segni di un altro fuoco a cui solo lui, tra tutti i suoi compari, può tendere, con l’intento di salvare il surrealismo di Breton, verso il Panico, verso Marceau, verso il Cinema, fino a un miraggio che prende il nome di una città bella e pericolosa come un incendio: Parigi.
Titolo originale | Poesia sin fin |
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Paese di produzione | Cile, Francia |
Anno | 2016 |
Durata | 128 min |
Genere | drammatico, fantastico, biografico |
Regia | Alejandro Jodorowsky |
Sceneggiatura | Alejandro Jodorowsky |
Fotografia | Christopher Doyle |
Montaggio | Maryline Monthieux |
Musiche | Adan Jodorowsky |
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